Nuove testimonianze sugli effetti benefici del lavarsi senza usare il sapone

Nuove testimonianze sugli effetti benefici del lavarsi senza usare il sapone

Esiste da anni una sottocultura di persone che hanno deciso di farla finita con il sapone. Non si tratta di disadattati o protestanti nei confronti delle multinazionali dell’igiene, ma persone che seguono una determinata convinzione scientifica. Chi ha teorizzato la tecnica del non-lavaggio è un ingegnere chimico di nome David Whitlock, che ad oggi non usa sapone da circa 15 anni. Niente puzza, secondo quanto racconta, perché si cambia regolarmente i vestiti, niente sporcizia, semplicemente la sua pelle dopo qualche mese ha raggiunto una sorta di equilibrio con quei batteri che ci vivono costantemente addosso e che non sono sempre necessariamente cattivi.

Uno studio che è diventato anche un business con la fondazione, nel 2013, della AOBiome, azienda biotecnologica con sede a Boston focalizzata sulla trasformazione della salute umana attraverso prodotti che ripristinano i batteri ossidanti l’ammoniaca. In pratica Whitlock crede che i progressi della cosmetica che ci permettono di essere costantemente profumati, altro non abbiano fatto col tempo che annientare quei batteri che in realtà svolgevano un’importante azione di protezione del nostro corpo.

Così, dopo aver deciso di lasciarsi colonizzare da questi batteri, ha anche concepito uno spray chiamato Mother Dirt AO + Mist con il quale, due volte al giorno, si pulisce. La notizia risale ormai a qualche anno fa e venne diffusa nel mondo con uno scetticismo non troppo velato e, in qualche caso, anche con un sorriso.

Oggi The Guardian torna sull’argomento documentando le idee di chi, e sono in molti, hanno deciso di interrompere il proprio regime di bagni e docce. Tra questi anche Sarah Ballantyne, una biofisica divenuta autrice e guru dello stile di vita conosciuto come “Paleo”, anche per lei è preferibile lavarsi utilizzando solo l’acqua: “Uso l’olio di cocco per radermi e basta. – dice – Nel tempo, la mia pelle si è adattata. Non sento odore. Sto lavorando a un libro sul microbioma umano e sono convinta che le mie ascelle prive di odori siano il segno del mio essere perfettamente sana”.

Stessa scelta intrapresa da Jackie Hong, giornalista nello Yukon, nel nord-ovest del Canada, arrivata al nono anno consecutivo senza utilizzare sapone sotto la doccia, “risparmio tempo e denaro” dice. Non è facile dar credito a certe idee, anche se presentate con solide basi scientifiche, anzi, al contrario, il primo pensiero è quello di annusarsi le ascelle, capire se e quanto puzziamo, pensare di infilarsi immediatamente in una vasca da bagno affogando la propria pelle in un mare di schiuma; eppure anche Sandy Skotnicki, dermatologa di Toronto e autrice del libro “Beyond Soap” del 2018, sostiene di aver studiato persone che da anni non usano alcun tipo di detergente e di poter confermare che stanno tutte perfettamente bene.

“Dal 1950 – dice – siamo passati dal bagno una volta alla settimana a tutti i giorni. Questo ha cambiato il nostro microbioma cutaneo? Penso che la risposta sia sì. E questo ha causato un aumento delle malattie infiammatorie della pelle? Penso che la risposta sia sì, ma non lo sappiamo con certezza”. Infatti, va detto, non esiste alcuna prova scientifica che dimostri gli effetti negativi derivanti dall’utilizzo del sapone, ma è anche vero che sono diversi i marchi che, strizzando l’occhiolino a questa nuova cultura, si stanno muovendo per studiare prodotti “probiotici”.

Ad esempio, il marchio francese Gallinée utilizza batteri lactobacillus, stessa cosa fa La Flore, azienda statunitense che presto renderà disponibili i suoi prodotti “amici dei microbiomi” anche in Gran Bretagna. Non manca chiaramente chi nutre forti dubbi su certe teorie, come Julie Segre, Chief and Senior Investigator of the Translational and Functional Genomics Branch al National Human Genome Research Institute at the National Institutes of Health, che sostiene che in questo campo vengono fatte molte promesse senza un’accurata base scientifica, “c’è ancora molta strada da fare – dice – prima che i microbi possano entrare a far parte dell’intervento medico, anche se questo non vuol dire che nell’idea non ci sia del potenziale”.

L’unico avvertimento sul quale tutti concordano è che la parte del corpo alla quale dobbiamo prestare più attenzione sono le mani, così come sostiene anche la succitata dottoressa Skotnicki: “Lavare i capelli e il corpo ha poco a che fare con l’igiene. Ma lavarsi le mani è essenziale”.

Agi

Come dovremmo usare lo smartphone in vacanza

Come dovremmo usare lo smartphone in vacanza

Se il nostro smartphone non ha più segreti riguardo ciò che può fare e, si sospetta molto presto, nemmeno più limiti, qualche problema riguardo la loro presenza nella nostra vita di tutti i giorni, resta. Lo utilizziamo mentre camminiamo per strada, ci stiamo abituando a guardare il mondo attraverso le sue lenti, ai concerti le torce hanno sostituito gli accendini e riusciamo a farne un utilizzo smodato perfino quando siamo alla guida. Ma come ci dobbiamo comportiamo in spiaggia con il telefono sempre a portata di mano?

Samsung ha deciso in questo senso di intervenire, costituendo, dopo un accurato studio, quello che ha chiamato “Galateophone”, ovvero una serie di semplici regole legate all’utilizzo degli smartphone durante la stagione estiva. Non leggi, consigli, una modalità diversa, più rilassata, di approcciarci a quella che è considerata a tutti gli effetti la nostra personalissima scatola nera, affinché la convivenza tra spiaggia e tecnologia sia del tutto pacifica.

 Il Trend Radar di Samsung ha condotto una ricerca con metodologia WOA (Web Opinion Analysis) su 1.500 giovani compresi tra i 25 e i 35 anni, in una parola i famigerati millenials. Lo smartphone si conferma in assoluto il compagno di viaggio preferito in vacanza (88%), l’oggetto da portare sempre con sé in spiaggia, seguito dal tablet (55%) e dall’e-Reader (44%). I giovani lo portano con sè per restare informati su cosa succede nel mondo (85%), per l’aiuto che può dare durante il viaggio (71%), per scattare foto e video (65%) e per restare in contatto con i familiari (59%).

Le app più cliccate tra un bagno e un altro comunque restano quelle dei social network (85%), ma naturalmente c’è chi lo usa per fare telefonate (77%) e chi per ascoltare la musica (58%). Sempre secondo lo studio, un millennial su tre lo utilizza tra le 5 e le 6 ore al giorno, il 25% arriva addirittura fino a 8 ore. E in vacanza? Sicuramente in maniera diversa che a casa: il 49% infatti dichiara di limitarne l’uso. È più la voglia, rispondono gli intervistati, di godersi le vacanze staccando dal resto del mondo (68%), oppure perché hanno paura di rovinarlo al sole (61%), ma non manca un 51% che cerca di non esagerare per non disturbare gli altri e un 47% che evita di portarlo con sé per paura di dimenticarlo in giro.

Limitarne l’uso, di fatto, significherebbe spegnerlo in spiaggia (41%), lasciarlo a casa quando si è fuori (28%), metterlo in modalità aerea (19%) oppure togliere la connessione internet (12%); ma come possiamo notare le percentuali che riguardano opzioni che comportano l’accantonare l’oggetto per qualche ora si abbassano notevolmente. È a questo punto della storia, una volta preso atto che le nostre cattive abitudini sono diventate ormai una regola, che va composto un Galateo, dare delle coordinate precise affinché ciò che sta diventando sempre più naturale, ovvero una forte dipendenza dagli smartphone, lo sia sempre meno, perlomeno in spiaggia durante l’estate.

Ecco allora arrivare il Galateophone con le sue prime cinque semplici regole:

1 – No alla suoneria alta che infastidisce i vicini di ombrellone, stop agli sms continui e agli squilli: la parola chiave in spiaggia è “silenzioso”;

2 – Stop al vivavoce, esistono gli auricolari, amatissimi dai millennials, che li definiscono l’accessorio più utilizzato proprio al mare (84%);

3 – No a video e musica a tutto volume, canzoni in spiaggia sì, ma solo al tramonto, meglio se con speaker di ultima generazione, altro accessorio amatissimo da un millennial su tre;

4 – Stop gli occhi fissi sul telefono: il paesaggio merita di essere contemplato, per rilassarsi, pensare e, perché no, magari sognare un po’. Ma soprattutto per imprimere le immagini delle vacanze nella propria mente!

5 – Privacy is the key: stop alle videochiamate con il rischio di filmare inavvertitamente il vicino di ombrellone.

Niente di eccezionale in effetti, norme di comportamento che non avrebbero bisogno di essere raccolte e diffuse, ma delle quali, a quanto pare, abbiamo forte necessità. Il Trend Radar di Samsung ha anche analizzato nel dettaglio in che modo i giovani utilizzano lo smartphone in spiaggia. L’89% degli intervistati per scattare foto e video, meglio se sul bagnasciuga (34%), sdraiati sul lettino (29%), sotto l’ombrellone (25%), e anche in acqua (12%).

Il 54% scatta selfie, Il 68% chatta con gli amici, il 61% cerca eventi e ristoranti da provare in vacanza, il 57% ascolta musica e il 53% controlla le mail. Il timore maggiore è che il nostro smartphone si bagni (73%), ma anche che la batteria si scarichi più velocemente (68%) o si surriscaldi (56%), oppure semplicemente di perderlo (51%) o ancora di rovinarlo con la sabbia (47%).

Per il 68% del campione, le più ossessionate dallo smartphone in spiaggia sarebbero le donne contro il 38% degli uomini. “E’ giusto limitare l’uso dello smartphone per una civile convivenza sotto l’ombrellone – commenta la psicologa psicoanalista Raffaella Conconi, coordinatrice del Servizio Tutela Minori di Lecco e provincia –  soprattutto in contesti già sociali come quello della spiaggia, in cui l’uso eccessivo del telefono può limitare i rapporti umani. Non dimentichiamo, inoltre, che il viso incollato sullo schermo o la telefonata in viva voce sono fastidiosi non solo per il vicino di ombrellone, ma anche per chi è in vacanza con noi. Abituiamoci, insomma, all’idea di non avere lo smartphone sempre sott’occhio. Cerchiamo di fare attività variegate, dalla lettura di un libro a una bella passeggiata”.

Agi